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Ad alimentare il dibattito sono state le dichiarazioni di due ricercatori di Facebook, David Ginsberg e Moira Burke, che recentemente hanno pubblicato un articolo sul social di Mark Zuckerberg. “Con le persone che trascorrono più tempo sui social media, molti si chiedono giustamente se questo sia un bene per noi. Le persone si connettono in modo significativo online? O stanno semplicemente consumando aggiornamenti banali e polarizzati?”, questi gli interrogativi a cui hanno provato a rispondere i ricercatori. Si legge inoltre: “Queste sono domande cruciali per la Silicon Valley – e per entrambi. Moira è una psicologa sociale che ha studiato l’impatto di Internet sulla vita delle persone”.
Autogol della multinazionale o presa di coscienza, l’articolo dei due ricercatori è stato pubblicato in ogni caso, qualche giorno dopo le dichiarazioni di Chamath Palihapitiya, vice presidente ed ex manager di Facebook che ha scosso l’opinione pubblica dicendo di sentirsi in colpa per il ruolo smodato che i social stanno avendo nelle nostre vite, definendoli “strumenti che stanno distruggendo il tessuto sociale della società”.
Per rilasciare le proprie dichiarazioni, i due scienziati si sono avvalsi del supporto di alcuni studi e alcune ricerche condotte da specialisti. Citano, per esempio, le ricerche condotte dalla psicologa Sherry Turkle secondo cui l’utilizzo dei social ci farebbe sentire “soli insieme” e gli studi del sociologo Claude Fischer, per il quale le argomentazioni dell’opinione pubblica ignorano i benefici provocati nella vita dall’impatto della tecnologia.
Però, secondo altre ricerche condotte sempre da Turkle, l’utilizzo smodato dei social sarebbe una delle prime cause della depressione negli adolescenti.
Sebbene l’uso compulsivo dei social possa allontanare le persone e provocare dei disturbi psichici persistenti, il loro utilizzo permette anche di avvicinare le persone e mantenere i rapporti con gli amici lontani, in quanto la salute e la felicità delle persone passa attraverso le proprie relazioni, concludono Ginsberg e Burke.
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