Periodo difficile per i growshop in Italia: da un lato le catene di negozi che vendono cannabis si trovano a dover fronteggiare la “battaglia” portata avanti dal Ministro uscente Salvini con alcune indicazioni ministeriali, dall’altro lato si trovano a dover fare i conti con le statuizioni delle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione (sentenza n. 30475 del 10 luglio 2019) che sembrano aver dato un’interpretazione della normativa in vigore che parrebbe mal conciliarsi con la commercializzazione, in ambito nazionale, dei prodotti a base di canapa sativa.
Esaminiamo in breve i due interventi. La Direttiva emanata dall’allora Ministro Salvini lo scorso 9 maggio contiene tutta una serie di indirizzi operativi mediante i quali il Ministero ha “invitato” le forze di pubblica sicurezza e le autorità locali ad effettuare una puntuale ricognizione di tutti gli esercizi e le rivendite di canapa presenti sul territorio, per verificare “il possesso delle certificazioni su igiene, agibilità, impiantistica, urbanistica e sicurezza, richieste dalla legge per poter operare”. Il Ministero ha poi chiesto alle autorità competenti (amministrazioni regionali e comunali, polizia locale, ecc.) di monitorare l’ubicazione degli esercizi commerciali «con riferimento alla presenza nelle vicinanze di luoghi sensibili quanto al rischio di consumo delle sostanze, come le scuole, gli ospedali, i centri sportivi, i parchi giochi, e, più in generale, i luoghi affollati e di maggiore aggregazione, soprattutto giovanile». Da ultimo, il Ministero ha sollecitato gli enti locali, in relazione alle possibili nuove aperture di nuovi esercizi commerciali per la vendita di canapa, a prevedere “una distanza minima di almeno cinquecento metri dai luoghi considerati a maggior rischio”. È di tutta, evidenza, quindi, come le indicazioni del Ministero mirino a tentare di arginare la diffusione dei growshop in via indiretta, creando delimitazioni sotto il profilo geografico ed inducendo le autorità competenti ad effettuare dei controlli a tappeto per trovare eventuali “scheletri nell’armadio” che consentano di giustificare la chiusura degli esercizi commerciali del settore e/o l’applicazione di pesanti sanzioni al commerciante, per rendere difficile la prosecuzione dell’attività.
A complicare il quadro giuridico èpoi la recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 10 luglio u.s., che, dopo una attenta e puntuale disamina delle normative su sostanze stupefacenti, coltivazione e commercializzazione della canapa, loro fondamento giuridico e ambito di applicazione, ha stabilito, in buona sostanza, che la L. n. 242 del 2016 “… qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà ammesse e iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati, sicché la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio, resina, sonocondotte che integrano il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dalla L. n. 242 del 2016, art. 4, commi 5 e 7, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività”. In altre parole: la vendita di prodotti derivati dalla cannabis sativa è reato, a meno che non risulti che il prodotto in vendita sia privo di efficacia drogante, a prescindere dal valore di THC del prodotto in commercio. La sentenza della Cassazione, dunque, rinvia alla nozione di “efficacia drogante” del prodotto la decisione sulla punibilità o meno della vendita delle sostanze a base di cannabis sativa (tutti gli altri prodotti parrebbero dunque commercializzabili), senza però fornire un parametro oggettivo che consenta di valutare se il prodotto commercializzato possa dirsi a monte avere efficacia drogante o meno.
Pur a fronte di un quadro giuridico quale quello sopra descritto va segnalato che molti Tribunali italiani si sono espressi in senso parzialmente difforme alle indicazioni della Cassazione, dando una speranza ai growshop e disponendo il dissequestro di prodotti che sono risultati avere un contenuto di THC inferiore allo 0,5%. Così, ad esempio, ha statuito il Tribunale del riesame di Ancona lo scorso 16 luglio, sulla considerazione che le sostanze a base di cannabis sativa oggetto del sequestro non avrebbero avuto efficaciastupefacente. Tale decisione è conforme a un precedente del Tribunale del riesame di Genova che lo scorso giugno aveva disposto la restituzione della merce sequestrata a un commerciante di Rapallo – sulla considerazione che nel nostro ordinamento mancherebbe una norma che chiarisce a quale parametro dovrebbe essere ancorata l’efficacia drogante di prodotti contenenti cannabis sativa – ed è in linea con quanto deciso anche dai Tribunali di Padova, Salerno, Santa Maria Capua Vetere, Perugia e Mantova.
Al momento, dunque, la situazione può dirsi tutt’altro che chiara. Ad avviso di chi scrive, però, in attesa di un intervento normativo sul punto, gli esercizi commerciali che operano nel settore della cannabis potranno continuare ad operare, salvo non intervengano ipotesi di sequestro che però, allo stato, potranno essere oggetto di richiesta di riesame da parte degli esercenti commerciali. Sempre in tale ottica, inoltre, potrebbe essere utile inserire nei nuovi contratti di affiliazione commerciale delle particolari clausole che prevedano tra le ipotesi di risoluzione automatica del rapporto anche il c.d. factum principis, di modo da regolamentare anche il rapporto tra franchisor e franchisee in caso di sequestro della merce che impedisca la prosecuzione, anche solo temporanea, dell’attività commerciale.
Avv. Fabiana Menichetti
Studio Legale Menichetti
Per l’apertura di un esercizio commerciale per la vendita di prodotti a base di canapa non occorrono particolari requisiti specifici rispetto alle altre attività. Gli adempimenti amministrativi e autorizzativi sono i seguenti:
Alla luce del dibattito normativo tra limite di THC ed efficacia drogante, particolare attenzione deve essere invece tenuta sulle caratteristiche del prodotto che si pone in vendita in funzione della sua particolarità.
HEADSHOP vendono articoli per fumatori come accendini, posacenere, cartine, cilum, narghilè, bong, vaporizzatori ed altri articoli ed accessori a tema. HEMPSHOP vendono prodotti riguardanti o realizzati con la canapa quali abbigliamento, cosmetica, alimentari e bevande aromatizzate, libri, riviste e così via. SMARTSHOP vendono principalmente integratori e composti di origine naturale e sintetica a base di canapa, tutti con un THC entro i limiti imposti dalla legge. SEEDSHOP sono specializzati nella vendita di semi, terricci ed attrezzature per la coltivazione della cannabis quali ad esempio impianti di illuminazione, irrigazione ed areazione. HEMP SHOP vendono gadget, oggettistica ed abbigliamento, libri e riviste informative sulle proprietà e sulla coltivazione della canapa, alimentari e bevande (birre, vini, succhi, bibite analcoliche, caffè) aromatizzati alla cannabis con THC entro i limiti imposti dalla legge, nonché cosmetici realizzati con questa pianta dalle innumerevoli, e quasi sconosciute ai più, proprietà. GROWSHOP vendono articoli ed attrezzature per la coltivazione ed il giardinaggio, con particolare focus verso la canapa. Un growshop è generalmente un’unione di più di una tipologia di negozio, diventando spesso un punto di riferimento per tutti gli appassionati.
All’inizio dell’anno 2018, i negozi di CBD hanno avuto un gran successo in Francia ma lo sviluppo è stato velocemente frenato a seguito di norma francese.
A giugno 2018, considerando la popolarità e la moltiplicazione dei negozi in Francia, lo Stato tramite la MIDELCA (Missione interministeriale di lotta contro la droga e le condotte additive) ha precisato la normativa, non senza creare una divergenza con la legislazione europea. Per essere autorizzati, i prodotti a base di CBD devono essere:
Il tasso di 0,2% di THC è la soglia massimale presente nella pianta d’origine e non nel prodotto finito. Questa soglia è molto importante in quanto numerosi negozi sono stati chiusi dopo l’analisi dei prodotti. Non deve esserci nessuna presenza di THC nel prodotto. Diversamente dall’Italia, non c’è nessuna tolleranza. Non si può estrarre il CBD né dalle foglie né dai fiori. Quest’ultime sono vietate qualsiasi sia l’uso. Dovete essere sicuri dei vostri fornitori e dei prodotti che scegliete di vendere e per questo vi consigliamo di fare riferimento a fornitori francesi che sono autorizzati dalle autorità.
L’uso medicale detto “terapeutico” è vietato in Francia. Non è possibile rivendicare un qualunque valore terapeutico come, per esempio, “anti-infiammatorio” Solo i prodotti autorizzati dall’ Agenzia Nazionale di Sicurezza delle medicine (ANSM) o la Commissione Europea sulla base di un fascicolo valutato in base a criteri scientifici di qualità, sicurezza e efficacia possono usare questa denominazione. Ad oggi e da 2014, solo un prodotto ha ottenuto l’autorizzazione di vendita sul mercato francese ma non è commercializzato nella misura in cui ci sono divergenze sul prezzo di vendita. L’11 luglio 2019, si è aperta tuttavia una finestra quando l’Agenzia Nazionale di Sicurezza delle medicine (ANSM) ha annunciato preparare le modalità tecniche di una fase sperimentale.
L’uso ricreativo ed al fine di fumo è vietato. I e-liquidi a base di CBD possono essere venduti finché sono assolutamente esente di THC e non provengono di varietà di piante o parte di piante non autorizzate. Nelle stesse condizioni, possono essere venduti prodotti alimentare, cosmetici (a.e il marchio Body Shop con la sua gamma Hemp oppure il marchio francese Ho Karan), Tessile, Cartoleria. La canapa può anche essere utilizzata nell’industria automobile. Finché il CBD utilizzato per ottenere il prodotto finale è estratto dal grano e dalle fibre ma non dai fiori o foglie e che non ci sia tracce di THC nel prodotto finale, quest’ultimo può essere venduto sul territorio francese. La pubblicità dei prodotti non deve creare confusione con il cannabis visto che potrebbero essere considerate come una provocazione all’uso di stupefacenti.
Avv. Marika Devaux
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