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Il vero successo? La partenza.

Ho fatto forza sulle braccia, appoggiando le mani sull’asfalto, e mi sono tirato su con il busto. Ho sentito un dolore lancinante al basso ventre, ho guardato avanti e la mia gamba stava a dieci metri da me”.

Aveva sedici anni Gianni Sasso, classe 1969, di Ischia, al momento dell’incidente stradale in cui perse l’arto inferiore sinistro. Oggi Gianni commenta con noi uno dei suoi ultimi record, la maratona di New York corsa in meno di sei ore. Un’impresa che rimarrà nella storia, come tante altre del curriculum di questo atleta soprannominato ‘il Leone di Ischia’. Perché la vita se l’è ripresa a zampate vigorose, Gianni, da quel giorno in cui si ritrovò in un letto di ospedale, senza più una gamba e addosso la disperazione. “Venne a trovarmi il preside della mia scuola – ricorda -. Sapeva che il mio sogno era diventare calciatore professionista. Nel tentativo di rincuorarmi mi disse: Gianni, tornerai a vivere anche se dovrai accettare che la tua vita non sarà quella di prima, dovrai trovare altre passioni invece del calcio. Queste parole mi diedero la scossa. Mi sarei rialzato e sarei tornato a giocare, più forte di prima, meglio di prima”.

E così è stato. Rientrato a casa Sasso riprende ad allenarsi, entra nella nazionale amputati e ne diventa il capitano, capocannoniere nel 2019 con dodici reti “ma la soddisfazione più grande è stata giocare contro normodotati e vincere”. E poi il record mondiale raggiunto alla maratona di Amsterdam nel 2012, dove ha corso con le stampelle in 4 ore e 28 minuti. E ancora, le paraolimpiadi, il paratriathlon a Rio 2016, il campionato italiano di Triathlon e il campionato italiano di bicicletta.

Lo sport che supera i record

I record scandiscono la seconda vita di Gianni Sasso, ne segnano il ritmo ma il cuore del Leone è oltre. “Lo sport mi ha aiutato a focalizzarmi su quello che ho e non su quello che mi manca. Con il tempo ho preso sempre maggiore consapevolezza di me stesso, attraverso un percorso che ha tre punti cardine: intelligenza, razionalità, professionalità. E’ così che ho coniato il mio motto: Usa quello che hai e realizza quello che vuoi”.

Una visione della vita che l’atleta e imprenditore ha coltivato attraverso la pratica di un atteggiamento mentale quotidiano di cui lo sport è parte sostanziale. “Perché se è vero che la mente controlla il corpo – precisa – è altrettanto vero che l’attività sportiva plasma la mente e ti mette, o rimette, in contatto con i tuoi obiettivi più veri. Perché la vita va vissuta, annusata, non guardata come uno spettatore”.

Una nuova svolta

Ed è partendo da questa concezione dello sport che Gianni Sasso intende rivolgere la propria attività di running coach motivator a un target sempre più ampio di persone, con un occhio di riguardo a imprenditori e manager. Tutti questi professionisti hanno obiettivi programmatici, per se stessi e per le proprie aziende. Da imprenditore che ha gestito e gestisce locali di ristorazione e negozi, so che cosa vuol dire. E so quanto lo sport può aiutare la mente a superare i propri limiti, può allenare alla gestione del tempo, può svolgere naturalmente quello che adesso si chiama ‘decluttering’ , cioè fare ordine e disintossicarsi dai pensieri negativi. Adesso intendo mettere a disposizione degli altri tutto il bagaglio di competenze e di vita che ho acquisito e coltivato negli anni. Perché so che il successo, quello vero, non è portare qualcuno al traguardo, ma alla partenza”.

La disabilità invisibile

La nuova svolta di Gianni va così incontro a chi cerca un vero cambio di passo nella professione, e nella vita.Voglio dare un messaggio di forza e speranza, voglio che arrivi a più persone possibili”, afferma. Insieme a lui c’è Luana Pezzuto, marketing manager, che si ritrova con il campione in diverse immagini dell’ultima maratona di New York.Sono proprio io – commenta Luana –, chi l’avrebbe mai detto? L’idea di partecipare è nata come sfida contro me stessa. Contro la mia disabilità invisibile: essere bloccata nei miei limiti e nelle mie abitudini. Gianni mi ha invitato ad allenarmi con lui, anche all’alba, per sette mesi. Quante volte ho pensato di appendere le scarpette al chiodo, ma lui, da motivatore e allenatore quale è, ha saputo creare una specie di dipendenza, non da lui come persona o professionista, ma dalla sensazione di benessere che provavo. Ogni volta creando una alternativa e una prospettiva diverse pur di farmi andare avanti. Oggi mi vedo in quelle foto nella Grande Mela e mi emoziono. Ma il traguardo più importante è avere cambiato passo per la mia vita”.

 

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