Tutti ci hanno fatto un pensiero almeno una volta nella vita. Anche i più insospettabili, come quelli con il posto fisso, per esempio. E poi quelli che un lavoro lo stanno ancora cercando. Ci sono anche quelli che ce l’hanno in testa fin da giovanissimi, quel pensiero. Fare una scelta che ha il sapore della libertà assoluta. Essere, o diventare, “capo di se stesso”. Innovare un settore. Inventare un business. In un’espressione, mettersi in proprio. E non da libero professionista: come imprenditore. Che cosa cambia tra le due figure? Da un certo punto di vista niente, il primo passo è comunque l’apertura della partita iva. Chi sceglie la libera professione però sceglie di mettere il proprio lavoro a servizio di terzi, di puntare sulla propria prestazione d’opera. Chi decide di fare l’imprenditore, invece, si assume, più o meno consapevolmente, il rischio di impresa che deriva dall’investimento di un capitale per raggiungere un profitto con la propria attività, declinata in organizzazione. Il cambio di passo non è da poco ed è il motivo per cui in molti casi il pensiero di mettersi in proprio si trasforma in un sogno vago e non in un progetto definito e realizzabile.
Diventare imprenditore è una sfida che premia con soddisfazioni importanti. Permette di vivere della propria passione, di incidere sul presente e anche sul futuro. Di creare opportunità di lavoro per la propria vita e per quella degli altri. Se poi si sa innovare davvero, fare impresa significa incidere anche in maniera importante sul contesto sociale che ci circonda. Chi si ricorda come fosse il mondo prima di facebook o Amazon, solo per fare un esempio?
Essere imprenditore significa individuare un prodotto o servizio da proporre che crei o soddisfi una esigenza non soddisfatta. Significa posizionarlo sul mercato. Significa organizzare una azienda, avere una mission, una vision, una strategia e naturalmente degli obiettivi. Significa individuare un business model. E, non ultimo, significa aggiornare e innovare nel tempo tutti questi elementi perché il mercato cambia incessantemente e le persone/clienti/consumatori a cui ci rivolgiamo anche.
Questa è l’immagine tradizionale di imprenditore. Poi c’è un’altra possibilità per fare impresa, che ancora oggi deve essere valutata in tutto il suo potenziale, almeno in Italia. E’ quella di entrare a far parte di un network in franchising, cioè di avviare una attività imprenditoriale avvalendosi del know how di qualcuno che ha già sperimentato un format di distribuzione di prodotti o servizi sul mercato, che ha già un brand riconosciuto, che è in grado di strutturare il supporto necessario di marketing e pubblicità per far promuovere e far conoscere l’affiliato. Che porta avanti ricerca e innovazione in quanto elementi strutturali della continuità del proprio business.
Da una parte quindi, un imprenditore, il franchisor, che ha colto una sfida complessa ma funzionale e ricca di soddisfazioni se portata a termine con successo, e cioè quella di fare business pensando già dall’inizio a come moltiplicarlo esponenzialmente, cioè attraverso un sistema a rete. Dall’altra parte un altro imprenditore, il franchisee, che attraverso il pagamento al franchisor di una fee di ingresso e/o di royalties non “si compra” un posto fisso, ma minimizza il rischio di impresa, cioè entra a far parte di un format già testato, evitando gli inciampi che ogni inizio comporta (li ha già fatti per lui il franchisor) e, in prospettiva, potendo contare su una casa madre che ha tutto l’interesse che l’attività degli affiliati funzioni.
In Italia ci sono 3,7 milioni di imprese secondo gli ultimi dati della Camera di Commercio di Milano su base Eurostat 2016. Di queste, il numero delle attività nel commercio e nel turismo è poco più di un milione. Secondo l’ultimo Rapporto di Assofranchising, in Italia nel 2016 i franchisor erano 950 e 50. 720 i franchisee. Se incrociamo i dati, significa che al franchising ricorre ancora solo un 5 per cento circa degli esercenti. E questo nonostante il giro di affari annuo abbia sfiorato i 24 miliardi di euro e una crescita complessiva di addetti del 4% (oltre 195.000 secondo il rapporto), un dato in netta controtendenza con la flessione dell’andamento del commercio in generale.
Insomma, puoi sentirti di affrontare il mercato come franchisor o come franchisee, ma se stai pensando di metterti in proprio il franchising è un’opzione da valutare seriamente, perché l’orizzonte di opportunità è davvero aperto. E soprattutto, guarda al futuro.
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Perché sìIn una metafora: o sei da solo o sei in cordata. Non è possibile conoscere tutto e il franchising è una condivisione di specializzazioni. Nei momenti di crisi, si condivide il peso e si riesce ad ampliare la capacità di lettura e di visione. L’innovazione dei sistemi a rete permette di allargare l’orizzonte, andando oltre a quello breve e locale. E poi c’è la capacità di attrazione dei clienti: non sei solo tu che attrai, ma è il sistema. |
Ma attenzione aIl franchising non fa per te se ti piace giocare da solo e se hai tutte le risorse per farlo. |
IMG:164175: Italo Bussoli |
Perché sìIl sistema distributivo classico fa fatica. I numeri di Confcommercio tra il 2008 e il 2015 dicono che il commercio al dettaglio tradizionale ha avuto perdite tra il 15 e il 18 per cento all’anno. Il franchising, tra i sistemi a rete, è la formula che ha mantenuto posizioni di mercato inalterate, cioè non ha avuto perdite negli anni. Anzi, cresce per giro d’affari e operatori. L’adesione di Assofranchising a Confcommercio quattro anni fa ha proprio l’obiettivo di promuovere il franchising nel comune interesse dell’intero retail italiano. |
Ma attenzione aDiventare franchisee non fa per te se pensi che sia un modo per avere un lavoro da dipendente. Se vuoi “fare il creativo” e renderti autonomo dalle direttive della casa madre perché pensi di sapere fare meglio tu rispetto al know how e al manuale operativo che il franchisor ha messo a punto e consolidato negli anni. Non fa per te se non ha un minimo di capitale per avviare l’attività. |
IMG:164176: Alessandro Ravecca |
Perché sìIl franchising implica il concetto di replicabilità, cioè deve essere replicabile e deve esserlo facilmente. Chi entra in una rete aderisce a un sistema che deve fare dell’aggiornamento continuo sul mercato uno dei suoi punti di forza, che permette di contare su gruppi di acquisto, marketing, comunicazione, marchio. E in più, il franchising è ormai una strada obbligata per chi vuole fare retail, se si escludono le botteghe di nicchia che puntano sull’artigianalità. |
Ma attenzione aIl franchising è ancora una formula poco conosciuta e per questo ben vengano tutte le iniziative che contribuiscano a divulgarne le potenzialità. Serve ancora una cultura seria e concreta che, per esempio, permetta di distinguere i franchisor già affermati da quelli in fase di startup e che aiuti a riconoscere chi si improvvisa e promuova gli imprenditori seri. E’ una battaglia che va combattuta su tre fronti: legislazione, formazione e sistema bancario. |
IMG:164177: Mario Resca |
Perché sì Il retail oggi è in controtendenza, ha un valore di 920 miliardi di euro, di cui il 16% generato dalla base Confimprese. Nel più ampio contesto del comparto un ruolo particolare è ricoperto dal franchising, che negli ultimi 7 anni ha registrato un incremento del fatturato del 4% e oggi vale quasi 24 miliardi di euro. Il nostro Osservatorio permanente stima 1.150 aperture e circa 10.000 nuovi posti di lavoro in Italia per il 2017. Si tratta di un risultato eccellente in un panorama più generale di sostanziale immobilità. |
Ma attenzione aLa mancanza di accesso al credito ha penalizzato le attività imprenditoriali. Quest’anno Confimprese ha siglato due accordi con MPS. Il primo prevede un plafond di 100 milioni di euro dedicato alle imprese associate e alle loro affiliate per dotarle degli strumenti finanziari (leasing e factoring) utili per sostenere lo sviluppo. Il secondo accordo offre ai soci finanziamenti a medio e lungo termine per nuovi investimenti, per sostenere programmi di ricapitalizzazione aziendale e supportare le startup attraverso piani di ammortamento graduale del capitale. |
IMG:164178: Mirco Comparini |
Perché sìIl franchising è una formula che si concentra su temi tipicamente aziendali quali “crescita e competitività”, in altre parole “sviluppo ed espansione” e ha ancora ampi margini per un ruolo sempre più importante in questo Paese. L’Italia infatti è un paese ricco di imprenditorialità diffusa, ma anche il sapere degli imprenditori è “diffuso”, nel senso che una buona parte di tale imprenditoria manifesta carenza di know-how manageriale, o meglio ancora, di impostazioni standardizzate dei processi produttivi/di servizio. Eppure è proprio dalla trasmissione del know how verso terzi e da altri settori di attività che giungono flussi finanziari da quella che io chiamo “l’economia o i ricavi da indotto”. |
Ma attenzione a“Il franchising è a disposizione di tutti, ma non è per tutti”. I primi due ostacoli sono tra gli elementi essenziali della formula: la codifica del know how e la sperimentazione della formula commerciale. Moltissimi imprenditori ritengono di poter “saltare” tali fasi ma, oltre ad un obbligo di legge, la sperimentazione è una necessità aziendale che consente di avere una ragionevole certezza della validità e della “bontà” della formula d’impresa che si va ad applicare per sé ma anche e soprattutto per terzi soggetti, cioè, gli “affiliati-imprenditori”. E poi c’è la selezione degli affiliati. Un tema molto vasto e assolutamente nevralgico per il futuro della rete. |
IMG:164179: Massimiliano Degiovanni |
Perché sìIl franchising rappresenta oggi l’unica reale e possibile risposta delle attività commerciali allo strapotere della GDO sui mercati. Grazie a format collaudati e spesse volte di successo, l’imprenditore che si affida alla formula del franchising può contenere in modo significativo il proprio rischio finanziario e di sviluppo. Gli accordi commerciali, il merchandising, il conto vendita, il layout già studiato, la pubblicità del marchio, il supporto finanziario e quello nell’espletamento delle pratiche burocratiche sono tutti strumenti che la casa madre mette a disposizione dell’affiliato e che fanno la differenza. |
Ma attenzione aCi possono esserci motivi di criticità nel franchising quando il marchio non è noto e riconosciuto sul mercato e anche quando l’esperienza dei centri pilota non ha maturato a sufficienza quel know how che verrà poi trasmesso ai singoli affiliati. L’affiliato invece deve essere adeguato alla gestione del format per capacità di investimento, professionali e imprenditoriali, compresa la conoscenza del proprio mercato locale. Soprattutto, dovrà poi sapersi adattare al format, rispettandone impostazioni, esclusive, metodologie di lavoro. |
IMG:164180: Sonia Pira |
Perché sìIl know-how e la forza del brand, dal punto di vista del franchisee, giocano sicuramente un ruolo fondamentale per il suo punto di vendita. Una formula testata, oltretutto, riduce al franchisee i rischi dell’intraprendere una nuova attività commerciale. Il franchisee viene formato e assistito, messo nella condizione di poter operare sin dal giorno dell’apertura e godendo da subito della notorietà del marchio. |
Ma attenzione aMa ciò che pure conta tantissimo per il successo di un’attività commerciale è l’impegno e la passione che lo stesso affiliato mette nella sua attività… perché, non dimentichiamo che il franchisee è un imprenditore che investe, oltre che denaro, “tempo e vita” in qualcosa in cui crede. Il franchisee va di conseguenza, oltre che seguito, stimolato dal suo franchisor. È da qui che nasce nel 2009, da un’idea di Manuel Vescovi, Best Franchisee of the World, l’unico evento al mondo dedicato all’affiliato, creato proprio per motivare e gratificare il lavoro e la dedizione che lo stesso mette quotidianamente nella propria attività. Ogni anno, grazie a questo evento, nasce una “sana competizione” tra gli affiliati che concorrono, ognuno dei quali ha come unico obiettivo quello di essere riconosciuto a livello mondiale come “miglior affiliato”. |
PERCHÉ SÌ
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MA ATTENZIONE A
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