Per l’emergenza Coronavirus, molte aziende della ristorazione hanno incrementato il delivery o l’hanno introdotto ex novo nei propri servizi. Ma questa leva va bene per tutte le attività della ristorazione? E quali passaggi e costi bisogna mettere in conto? Lo abbiamo chiesto a Davide D’Andrea Ricchi, founder e ceo di Sviluppo Franchising.
Con riferimento al contesto attuale, si è fatta di necessità virtù. Chi non aveva ancora declinato il proprio modello di business nella formula delivery, in alcuni casi lo ha introdotto per non vedere totalmente azzerati i numeri di fatturato o contenere la struttura dei costi.
Tutto questo compatibilmente a quanto imposto dai recenti Decreti. Detto ciò, comunque, possiamo dire che il delivery aveva già visto il suo boom nel centro nord e nelle grandi città sin dal 2018 con un fatturato complessivo di 250 milioni di euro. Posso dire che la situazione attuale ha spinto chi magari avesse tentennato inizialmente, a valutarne l’immediata fattibilità per inserirlo tra le voci di servizio e, quindi, di ricavo.
In tal senso, non credo che si tratti di una rivoluzione, ma di una presa di coscienza dei fatti. Anzi negli Usa, il sistema delivery sta raggiungendo un interessante livello di esasperazione, né è un esempio eclatante, la società di successo Blue Apron, la quale consegna al cliente le materie prime e la ricetta da seguire per piatti a prova di chef.
Indubbiamente da punto di vista imprenditoriale è il menù. Non ci sono requisiti legali o operativi di sorta: come si serve un piatto ad un tavolo, così si può consegnare, ma tutto dipende da come è stato studiato il menù.
Questo deve essere compatto per facilitarne la lettura nelle app di delivery, ma soprattutto “pratico”. Non è un caso che pizzerie, sushi e hamburgherie fanno la parte del leone con il delivery, perché si parla di prodotti facilmente consegnabili e in cui l’impiattamento non è fondamentale come per la cucina gourmet tradizionale.
A questo si aggiunge anche il food cost del menu. L’incidenza del delivery pesa sul fatturato, pertanto, avere un’incidenza alta della materia prima abbasserebbe pericolosamente i margini nonostante l’incremento di volumi di vendita. A mio avviso, non sarebbe così profittevole ne settore food una vendita delivery con un food cost pari o superiore al 30% sul prezzo del venuto, salvo non si tratti di grandissimi volumi di vendita e un sistema di produzione molto ma molto efficiente.
A tal proposito, si potrebbe “bypassare” il limite del food cost “non basso”, abbattendo costi indiretti come personale e affitto, creando un format spartano in “dark kitchen”, ovvero, senza posti a sedere (e quindi con meno mq e meno personale necessari) a fronte di una vendita unicamente tramite delivery (o take away).
Si tratta di solito di un costo diretto che dipende dalle commissioni applicate dai vettori terzi come Just Eat e Deliveroo, o anche piccoli player che lavorano in aree territoriali di provincia o secondarie. Possiamo dire che l’incidenza media è tra il 20 e 30% sul prezzo dell’ordine effettuato. Indirettamente, va considerato anche l’incidenza di un’eventuale risorsa a supporto necessaria per non ingolfare i processi di lavorazione tra delivery e posti a sedere.
Si potrebbe avere un proprio parco di rider, e questo nelle piccole città dove non arrivano le grandi o piccole compagnie diventa imprescindibile (o anche studiare dietro attenta analisi di fattibilità se conviene comunque averne uno proprio o affidarsi a terzi). Quindi stiamo parlando di cifre importanti, un significativo costo da pagare per raggiungere quei clienti che altrimenti, però, non raggiungeremmo, soprattutto alla luce dei nuovi stili di vita che vedono passare sempre più tempo a casa.
Come già anticipato, dipende dalla praticità della consegna dei piatti a menù. Detto questo, possiamo dire che il delivery è applicabile in teoria a tutti i tipi di format food e non. Anche farmacie. L’unico vero discrimine è il margine: è inutile fare servizio delivery se diamo tutto il nostro guadagno al vettore terzo.
Partiamo dai contro. Sicuramente, l’incidenza sul fatturato dei costi derivanti dal sistema delivery. A questo si aggiungono le potenziali criticità nella cucina che, soprattutto nei giorni di punta, potrebbe avere un sovraccarico di lavoro, allungare i tempi di consegna e quindi generare cattive recensioni sia per il servizio ristorante stesso sia per le consegne.
I pro sono tutti nell’incremento dei volumi di vendita seppur con margini più bassi. Infatti, il delivery permette di raggiungere un numero di clienti maggiore pur non avendo molti coperti. Non sono poche le attività che hanno un gran numero di clienti che non hanno nemmeno mai visto il locale, ma che sono comunque clienti assidui. Altro vantaggio tangibile e apprezzabile sul lato economico, è quello dell’ottimizzazione degli scarti, riduzione degli sprechi.
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